ANORA di Sean Baker

Giovedì  6 marzo21.00
Venerdì 7 marzo21.00
Sabato  8 marzo18.00        21.00
Domenica 9 marzo16.15        18.45        21.00
Lunedì 10 marzo21.00Versione originale sottotitolata in italiano
Martedì 11 marzo
Mercoledì 12 marzo21.00

Anora detta Ani è una ballerina erotica americana di origine russa esperta in lap dance che porta i clienti nei privé offrendo loro servizi extra a pagamento Un giorno nel locale dove lavora arriva Ivan, un ragazzo russo che pare entusiasta di lei e dei suoi molti talenti. Il giorno dopo Ivan invita a casa sua, e Ani scopre che il ragazzo vive in una megavilla ed è figlio unico di un oligarca multimiliardario. Le cose fra i due ragazzi vanno così bene che Ivan porta Ani a Las Vegas e là le chiede di sposarlo. Ma i genitori di lui non sono affatto d’accordo, e mandano una piccola “squadra di intervento” a recuperare il figlio dissennato. Quella che seguirà è una rocambolesca avventura ricca di sorprese , che tuttavia non dimentica di avere un cuore e un occhio alla realtà anche all’interno dell’esagerazione comica.

Con Anora il regista americano Sean Baker si cimenta con la “broad comedy” stile Una notte da leoni (indicativo il passaggio a Las Vegas) e la concitazione dei film dei fratelli Safdie, ma mantiene uno stile indie personale e un piglio autoriale riscontrabili in regia, scrittura e montaggio, tutti peraltro firmati personalmente da Baker, che è anche direttore di casting per il suo film: e il cast è responsabile di una parte importante della sua riuscita.

Mikey Madison, già apparsa in Once Upon a Time in Hollywood, tiene magnificamente la scena nei panni della protagonista, disincantata ma non priva di speranza, realista ma non priva di sogni, irriducibile e mai incasellabile in qualche facile stereotipo. Accanto a lei c’è un gruppo di magnifici interpreti maschili, fra cui spiccano l’irresistibile giovane attore russo Mark Eydelshteyn (una versione più genuina e divertente di Timothée Chalamet nel ruolo di Ivan) e il veterano attore armeno Karren Karaguilian (atore feticcio di Baker qui nei panni di Toros, il padrino di Ivan). Il più bravo è come sempre il russo Yura Borisov (il “gopnik” Igor), già apprezzato in Scompartimento n. 6 e in Captain Volkogonov escaped, cui spetta qui una delle risposte più belle riguardo alla violenza sulle donne.

Il gioco iniziale è quello di raccontare una storia alla Pretty Woman, di cui Anora cita sia uno degli scambi di battute più iconici (“Avrei accettato per duemila” “Sarei arrivato a quattro”) che il nome di Cenerentola abbinato ad una parolaccia, sia infine l’imperativo della protagonista di non baciare sulla bocca i suoi clienti.

Ma la storia di Anora prende tutt’altra piega e dà spazio alle dinamiche fra i personaggi, anche loro apparentemente classificabili secondo le maschere ricorrenti del cinema americano e invece mai così scontati. E il pericolo reale che Ani correrà nel corso della storia è ad appena mezzo grado di separazione dallo svolgimento comico della vicenda narrata.

La regia ricorda lo Scorsese muscolare dei “bravi ragazzi” (la fotografia, come in Red Rocket, è di Drew Daniels), il montaggio è concitato ma fluido, la sceneggiatura vivace e piena di battute perfette per i personaggi che le pronunciano, perché Anora è uno di quei rari film contemporanei in cui contano in egual misura l’azione e i caratteri, anzi, l’azione è una diretta conseguenza delle personalità in scena, che sono coerenti nel loro sviluppo e non interagiscono mai a casaccio, nemmeno nell’hellzapoppin che si viene a creare.

IL SEME DEL FICO SACRO

Venerdì 7 marzo20.30
Sabato  8 marzo
Domenica 9 marzo18.30

Amin ha finalmente ottenuto, dopo due decenni di lavoro, la promozione che attendeva: è ora addetto agli interrogatori e spetta a lui rinviare dinanzi al giudice gli accusati per una condanna che poi sarà certa. Ha una moglie devota e due figlie che studiano. La maggiore ha un’amica che viene gravemente sfigurata durante una manifestazione. Come aiutarla senza farlo sapere al capo famiglia? Per di più l’arma che e stata consegnata ad Amin al momento della promozione scompare da casa e lui rischia il carcere se non la si trova.

Un film militante dall’estremo coraggio che fa tesoro della lezione del cinema di impegno.

Sgombriamo subito il campo dal fatto che il regista sia riuscito a fuggire dall’Iran dopo una pesante condanna (che non era la prima) e che abbia potuto essere presente alla prima mondiale del film al festival di Cannes. Tutto ciò, che è indubbiamente importante, potrebbe costituire un filtro emotivo comunque distorcente rispetto al valore dell’opera in sé che invece c’è ed è molto elevato.

THE BRUTALIST di Brady Corbet

Sabato  8 marzo18.00
Domenica 9 marzo18.45

Dopo la seconda guerra mondiale, l’ebreo ungherese László Tóth, architetto della Bauhaus scampato a Buchenwald, emigra negli Stati Uniti. Nell’attesa che sua moglie Erzsébet ottenga il visto per raggiungerlo, si cimenta in piccoli progetti di design d’interni e ristrutturazioni, dando prova delle sue nuove sensibilità brutaliste nate dall’esperienza dell’Olocausto: attira così l’attenzione di un ricco mecenate, Harrison Lee Van Buren, che gli commissiona un ambizioso progetto architettonico.

Produzione

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Sviluppo

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Corbet ha citato come fonte d’ispirazione le opere di Winfried Sebald e Vidiadhar Surajprasad Naipaul, che esplorano specifici avvenimenti e periodi storici attraverso la biografia di personaggi immaginari.[1] Il primo tempo s’intitola infatti L’enigma dell’arrivo, come un romanzo del 1987 di Naipaul.[1] Ha scelto il brutalismo come metafora di «qualcosa che le persone non comprendono e quindi vogliono abbattere ed eradicare».[1]

Corbet ha impiegato sette anni per ottenere i finanziamenti necessari a realizzare il film, prodotto da indipendente.[1][2] Il budget è stato tra i 6 e i 10 milioni di dollari.[1][2][3] Riguardo al realizzare un film epico in costume di oltre tre ore per una cifra tutto sommato esigua, Corbet ha dichiarato: «Siamo andati a risparmio ovunque possibile per essere certi che ogni singolo centesimo si vedesse sullo schermo. È stato uno sforzo erculeo, che non consiglio a nessuno […] anni e anni di lavoro praticamente gratis».[2] Tuttavia, ha anche ammesso che un budget ridotto gli ha garantito un livello maggiore di libertà creativa, potendo lavorare senza preoccuparsi di «quei produttori che non si fidano del regista e lo sommergono letteralmente di appunti. Alla fine esce una cosa sterile e impersonale. È la stessa differenza che c’è tra una ciotola presa al supermercato e il vasellame wabi-sabi».[2]

Originariamente, i ruoli principali nel cast erano stati affidati a Joel Edgerton (László), Marion Cotillard (Erzsébet), Mark Rylance (Harrison) e Sebastian Stan (Harry).[4] Tra i ruoli minori, Vanessa Kirby originariamente interpretava Audrey, la moglie di Attila, mentre Cassidy, Martin, de Bankolé e Nivola hanno invece mantenuto i rispettivi ruoli sin da principio.[4]

Riprese

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Le riprese, inizialmente previste per il 2020, sono state posticipate più volte, prima a causa dello scoppio della pandemia di COVID-19 in Europa e poi dell’invasione russa dell’Ucraina del 2022 che ha impedito di girare in Polonia,[2][5] oltre che per via di impegni personali sopraggiunti al cast, come gravidanze o lutti familiari.[5][6] Le riprese sono infine cominciate a Budapest il 16 marzo 2023,[7] proseguendo poi a Carrara dal 29 aprile seguente,[8] concludendosi il 5 maggio 2023.[9] In tutto, sono durate 34 giorni.[10]

Il film è stato girato dal direttore della fotografia Lol Crawley, alla sua terza collaborazione con Corbet,[1] in pellicola 35 mm formato VistaVision.[10] Si tratta del primo film americano girato in VistaVision da I due volti della vendetta (1961), di e con Marlon Brando.[1] Durante le riprese sono stati usati 87 039 metri di pellicola.[10] Corbet ha voluto girare in VistaVision sia per ragioni filologiche, siccome il formato apparteneva al decennio dov’era ambientato il film, sia perché esso permetteva di inquadrare “un palazzo di sei piani da cima a fondo con un semplice obiettivo 50 mm, come con un volto umano”.[1]

Post-produzione

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Il film è stato montato da Dávid Jancsó, alla sua terza collaborazione con Corbet.[1] La post-produzione si è tenuta nel Regno Unito per ragioni fiscali,[2] mentre lo sviluppo e la stampa della pellicola sono stati effettuati a Budapest, presso il NFI Filmlab.[10] Avendo girato in VistaVision, Corbet ha potuto stampare il film in 70 mm per la distribuzione, giudicandolo un formato più adatto a un film epico.[2][10] In tutto, tra riprese e post-produzione, Corbet è rimasto 22 mesi lontano dalla sua famiglia, tra cui la figlia di 10 anni.[2]

Colonna sonora

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Dopo la morte del suo compositore abituale Scott Walker nel 2019, Corbet ha deciso di affidare la colonna sonora del film a Daniel Blumberg, che aveva composto in precedenza per Mona Fastvold, co-sceneggiatrice di The Brutalist e moglie di Corbet, le musiche de Il mondo che verrà (2020).[1] Corbet e Blumberg hanno puntato a un’idea di “film brutalista”: «Pensavamo a una colonna sonora senza nulla di ornamentale. Una che risultasse sia minimalista sia massimalista. Che rappresentasse il movimento, in un certo senso. E che fosse creata solo con strumenti dell’epoca. […] Oggi molti pensano a questi edifici come delle sorta di monoliti alieni, ma in realtà vengono da un periodo storico molto alla Lucy ed io, che è qualcosa che ho sempre trovato interessante».[1]