IL GATTOPARDO di Luchino Visconti

Lunedì 23 settembre21.00

«La nostra è un’infelice generazione. A cavallo tra due mondi e a disagio in tutti e due.»

Con queste parole Il principe Fabrizio Salina si rivolge al funzionario piemontese Cavaliere Chevalley sceso in Sicilia per offrire un posto da Senatore al vecchio esponente dell’ormai defunto Regno delle due Sicilie.

🎞️Il Gattopardo di Luchino Visconti è un film magistrale che ha saputo essere all’altezza del grande romanzo nato dalla penna di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, premio strega nel 1959.

🎭Un cast che riunisce grandi talenti internazionali: Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Romolo Valli, Terence Hill, Serge Reggiani e, naturalmente, il compianto Alain Delon nel ruolo di Tancredi, un giovane di origine aristocratica impaziente di trovare il suo peso politico nella nuova Italia, il paese dove «tutto cambia affinché tutto rimanga com’è»

I primi progetti sul film

Il produttore Goffredo Lombardo, patron della Titanus, acquistò i diritti del romanzo nel novembre 1958, quando Il Gattopardo stava riscuotendo un grande successo editoriale.
La regia del progetto cinematografico viene affidata inizialmente a Mario Soldati, che, nonostante fosse entusiasta del libro, decise di rinunciarvi perché temeva di non conoscere abbastanza a fondo l’universo siciliano.
La Titanus quindi siglò un contratto con Ettore Giannini, l’autore del bellissimo e sfortunato Carosello napoletano, ma questi fu successivamente estromesso.

La scelta di Visconti

Alla fine del 1960 il progetto passò a Luchino Visconti, reduce dal primo, autentico successo di pubblico della sua carriera di regista cinematografico, Rocco e i suoi fratelli (anch’esso prodotto e distribuito dalla Titanus). Oltre che dalla lettura del romanzo, Visconti era rimasto colpito anche dalla visione di un documentario televisivo di Ugo Gregoretti, La Sicilia del Gattopardo (1960), girato proprio nei luoghi di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e di Don Fabrizio Salina.

Così si espresse il regista sulla propria visione del romanzo:

Nel Gattopardo si racconta la storia di un contratto matrimoniale. La bellezza di Angelica data in pasto alla voracità di Tancredi. Ma Angelica non è soltanto bella; ella sa bene di che pasta è fatto un tale contratto di matrimonio, e l’accetta, anche se quello che a prima vista sembra dominare è soltanto un purissimo sentimento d’amore. E anche Tancredi non è soltanto cinico e vorace: riverberano in lui, già all’inizio della deformazione e della corruzione, quei lumi di civiltà, di nobiltà e di virilità che l’immobilità feudale ha cristallizzato e cicatrizzato senza speranza di futuro nella persona del principe Fabrizio. Dietro il contratto matrimoniale di Angelica e Tancredi si aprono altre prospettive: quella dello Stato Piemontese, che nella persona di Chevalley viene quasi a far da notaio e a mettere il sigillo al contratto; quella della nuova borghesia terriera, che nella persona di don Calogero Sedara richiama il duplice conflitto dei sentimenti e degli interessi quale Verga lo delineò in modo memorabile in Mastro Don Gesualdo, ch’io considero il più autentico progenitore del sindaco di Donnafugata; quello dei contadini, oscuri protagonisti subalterni e quasi senza volto, ma non per tanto meno presenti; quella della sopravvivenza contaminata, anacronistica, ma cionondimeno ancora operante, delle strutture e del fasto feudali, colti a mezzo tra la stagione della loro inarrestabile decadenza e l’intromissione nel loro tessuto di corpi estranei (don Calogero, gli ufficiali piemontesi, gli stessi garibaldini) che, ieri respinti, vengono oggi sopportati e assimilati.
Di questa impostazione del romanzo di Lampedusa non abbiamo sottaciuto un solo momento o aspetto o dialogo decisivo; in più abbiamo dato corpo ad alcuni motivi che nel romanzo sono presenti in accenni informativi. Prima di tutto la rivoluzione palermitana, le battaglie garibaldine, il linciaggio degli sbirri borbonici: tutto questo era necessario per spiegare la potenza dirompente della congiuntura storica e il rischio reale che Tancredi accetta di correre, per inseguire il suo deliberato disegno di essere alla testa dei fatti per dominare i fatti stessi.
In secondo luogo il rapporto tra don Calogero e i contadini (cui più volte si accenna nei dialoghi del libro), per rendere evidente una delle componenti del prezzo e della posta in gioco nel contratto di matrimonio fra Tancredi e Angelica.
In terzo luogo le conseguenze della disperata impresa di Aspromonte. Alcuni disertori dell’esercito regio che nel 1862 obbedirono all’appello di Garibaldi per seguirlo ad Aspromonte furono fucilati come disertori. Naturalmente non ci siamo presi la libertà di introdurre questo episodio nel film; ma è una realtà che echeggia nel ballo, e della quale Fabrizio è ben consapevole. Alla fine della festa infatti, come in un commiato solenne e amaro allo stesso tempo, le carrozze degli invitati tornano alle loro case alle prime luci dell’alba, mentre il principe Fabrizio si avvia solo per le vie della vecchia città, in un tormentoso e struggente colloquio con la luce della stessa mattutina…
Se qualcuno dicesse che in Lampedusa i modi particolari di affrontare i temi della vita sociale e dell’esistenza che furono del realismo verghiano e della ‘memoria’ di Proust trovano un loro punto di incontro e di sutura, mi dichiarerei d’accordo con lui. È sotto questa suggestione che ho riletto il romanzo le mille volte, e che ho realizzato il film. Sarebbe la mia ambizione più sentita quella di aver fatto ricordare in Tancredi e Angelica la notte del ballo in casa Ponteleone, Odette e Swann, e in don Calogero Sedàra nei suoi rapporti coi contadini e nella notte del Plebiscito, Mastro don Gesualdo.
E in tutta la pesante coltre funebre che grava sui personaggi del film, sin da quando la lapide del “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” è stata dettata, lo stesso senso di morte e di amore-odio verso un mondo destinato a perire tra splendori abbaglianti che Lampedusa ha certo assimilato, sia dalla immortale intuizione verghiana del fato dei siciliani, sia delle luci e delle ombre della Recherche du temps perdu. Del resto, il tema centrale del Gattopardo – “perché tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi” – non mi ha interessato soltanto sotto la critica spietata al trasformismo che pesa come una cappa di piombo sul nostro paese e che gli ha impedito di cambiare davvero fino ad oggi, ma sotto l’aspetto più universale, e purtroppo attualissimo, di piegare la spinta del mondo verso il nuovo alle regole del vecchio, facendo ambiguamente e ipocritamente sovraneggiare quelle da queste”
(Antonello Trombadori, Dialogo con Visconti, in Il film ‘Il Gattopardo’ e la regia di Luchino Visconti, a cura di Suso Cecchi d’Amico, Bologna, Cappelli, 1963, pp. 28-30).

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